Morsi, graffi…e altri guai!

Intervista con la Dott.ssa Elisa Artuso

Oggi abbiamo ospitato la Dott.ssa Artuso, psicopedagogista, per trattare un argomento molto comune tra coloro i cui bambini frequentano il nido: morsi, graffi e altri guai!

La prima domanda che forse viene da porsi in qualità di adulti è: perché un bambino graffia e/o morde un compagno?

Innanzitutto è importante fare una piccola introduzione: finché tutta l’area del linguaggio non è completamente sviluppata, i bambini nella fascia 0-6 anni, ma soprattutto nella fascia 0 – 3, utilizzano come strumento principale per interagire con gli altri: il corpo.  Perché è più facile, più immediato e quindi il più semplice che hanno a disposizione. Ecco perché avremmo bambini, in questa fascia d’età, che mordono, graffiano, spingono, calciano, ovvero mettono in atto quei comportamenti che vengono definiti da noi adulti come“aggressivi”.

In questi casi però l’aggressività dei bambini e delle bambine è la conseguenza della loro immaturitàin primis rispetto al cervello e al sistema nervoso, perché il cervello dei piccoli non è ancora sviluppato come quello degli adulti.

Perché reagiscono cosi? I bambini faticano a regolare le emozioni intense in modo autonomo ed efficace e a causa di questa immaturità fisiologica sono talvolta “accecati” dalla rabbia e sono portati a scaricare l’emozione attraverso i comportamenti aggressivi, non riuscendo a contenere la tempesta ormonale che si scatena in loro in quei momenti.

Dobbiamo però sempre tenere in considerazione che l’aggressività è legata ad una specifica tappa dello sviluppo e, nonostante noi adulti riteniamo che non sia accettabile come modalità di interazione con gli altri, è normale che bambini e bambine nella fascia di età prescolare la utilizzino nella relazione coi pari.

Con il tempo, la maturazione e l’acquisizione di nuove competenze cognitive, linguistiche, emotive e sociali, i bambini impareranno ad usare, le parole per comunicare, anziché il corpo.

Ovviamente, quando i bambini si comportano in modo “aggressivo” non siamo contenti, ma queste azioni diventano comprensibili se ne capiamo le ragioni e attiviamo strategie per regolarle.

E’ importante quindi vedere queste manifestazioni con un’altra visuale, un altro paio di occhiali, ovvero come modalità di entrare in relazione con gli altri. E ripeto e sottolineo che questo è comune soprattutto laddove l’area del linguaggio non è ancora sviluppata, ma può capitare anche quando il bambino ha un buon lessico e un vocabolario ricco.

Infatti, non è importante solo conoscere tante parole, ma anche capire quando utilizzarle, come utilizzarle e come collegarle tra di loro. Nel momento in cui si verificherà questo, probabilmente andremo poi a vedere una diminuzione di queste manifestazioni comportamentali.

Ma quindi perché mordono?

Perché provano delle forti emozioni che faticano a verbalizzare.

Ci sono bambini che mordono perché sono felici di vedere un compagno, ci sono bambini che mordono perché qualcuno gli ha rubato un gioco, ci sono bambini che mordono perché si sentono annoiati.

Quello che sta alla base è sempre comunque una motivazione: è importante capire che non c’è un graffio o un morso, dal nulla o senza senso, c’è sempre un motivo e c’è sempre un perché.

Morsi e graffi sono quindi delle modalità di interagire e di entrare in relazione con gli altri, modalità che però hanno bisogno di essere canalizzate e supportate dalle figure adulte, per fare in modo che i bambini pian piano acquisiscano delle risorse alternative e soprattutto socialmente accettate.

Un aspetto di fondamentale importanza è sicuramente quello di non etichettarli come dei gesti aggressivi, perché in questa fascia d’età non c’è intento aggressivo, non c’è intento di fare male, bensì c’è un intento di entrare in relazione.

Se noi adulti riusciamo ad avere uno sguardo diverso nei confronti di queste manifestazioni, abbiamo già fatto un grande lavoro, soprattutto nell’ottica di attuare un intervento efficace.

Quando al nido si verifica un episodio di questo tipo, come può l’educatore spiegare ai bambini che non è il modo giusto per relazionarsi con gli altri?

Sicuramente è importante far capire che ci sono delle alternative per entrare in comunicazione con i pari. Quindi nei momenti in cui si verificano questi episodi è importante far capire che questo può far male e, a quel punto, offrire delle alternative.

E’ importante dare un limite, un confine ed accompagnarli con dei gesti concreti a delle soluzioni alternative, esempio facendo vedere il gesto dell’abbraccio o quello del bacio o quello della carezza.

Il tutto rispettando ciò che sta provando il bambino in quel momento, perché le sue emozioni sono davvero impetuose. Proviamo solo a pensare a quanta fatica facciamo noi adulti nel controllare ed identificare le nostre emozioni, episodi in cui diciamo: ho fatto/ho detto quella cosa… è stato più forte di me!… per i bambini è la stessa cosa!

Vivono un uragano emotivo che non sanno gestire, proprio per quella che è anche l’immaturità del loro sistema nervoso in questa fascia d’età. Comunicano con l’unico strumento che è più facile ed immediato e che al momento hanno nel loro zainetto di strumenti: il corpo.

Altro step fondamentale è andare a rispecchiare quello che il bambino ha vissuto a livello emotivo e quindi far capire che noi ci siamo e che abbiamo capito quello che ha provato, ad esempio: “Guarda ho visto che ti sei arrabbiato per questo motivo/ho visto che sei felice perché è successo questo/ho capito che…” Intervenire andando quindi a rispettare i vissuti emotivi, a verbalizzarli, facendo capire al bambino di essere stato compreso e che le sue emozioni vengono accettate, qualsiasi esse siano.

Infine, è importante aiutare il bambino a dare un nome a quello che ha vissuto e suggerire che magari la prossima volta può usare le parole, facendo degli esempi, dandogli proprio delle alternative pratiche a livello verbale con il fine di aiutarlo ad interagire con modalità diverse.

Parallelamente ai nostri interventi, dobbiamo tenere in considerazione che queste manifestazioni sono fisiologiche, fanno parte dell’ evoluzione e del percorso di crescita. I litigi rappresentano una palestra di sviluppo e un’opportunità di crescita.

Il ruolo dell’adulto è sicuramente quello più “impegnativo”, infatti deve trasformarsi in una sorta di traduttore simultaneo che si muove insieme ai bambini, dando parola ai vissuti.

Occupiamoci quindi di chi ha ricevuto il morso, certo, ma è altrettanto importante concentrarci e intervenire anche su chi lo ha dato, perché è spesso colui o colei che ha bisogno del supporto dell’adulto.

Interveniamo con calma e pacatezza, fornendo un contenimento e mettendo parola sull’accaduto e indicando a chi ha aggredito delle strategie comportamentali o verbali più adeguate.

Facciamo un esempio concreto: “M., forse S. ti ha infastidito in qualche modo. Non sapevi come dirglielo così l’hai morso. Ti ricordi la regola? Non voglio che mordi, mordere fa male. Vedi che S. piange? La prossima volta diglielo con le parole oppure vieni da me e ti aiuto io“.

Sappiamo che uno dei momenti più difficili è riferire l’accaduto ai genitori…come possiamo spiegare loro quanto successo?

Questo è sicuramente uno dei momenti più impegnativi.

Quando un genitore vede che il proprio figlio ha una ferita visibile (al volto o comunque in una parte del corpo in cui è particolarmente evidente) in lui si manifesta in modo prevaricante l’istinto e il senso di protezione verso il proprio “cucciolo”, proprio come farebbe una qualsiasi mamma-papà nel regno animale. Anche noi, in quanto mammiferi, siamo geneticamente portati a quella che è la difesa e la protezione dei nostri bambini.

Si attivano meccanismi e pensieri istintivi per cui il genitore è portato a dire/pensare:

“Non c’ero e non ho potuto proteggerla/o” “Avrà sicuramente sofferto” e per questo motivo da genitore ricevere la comunicazione di questo evento può provocare una sensazione di dolore e frustrazione.

La fatica dei genitori di fronte a questi episodi spesso infatti è rivestita di paure legate al pianto e al dolore fisico provato dal proprio bambino, in quanto Il significato che l’adulto tende a dare al morso è spesso collegato all’esperienza adulta. Sono questi ‘inquinamenti’ che non consentono di collocare il morso di un bambino dentro una cornice corretta.

E’ normale che a livello istintivo, compaiano in primis dei pensieri negativi, però formarsi come genitori rispetto alle interazioni che appartengono a questa fascia d’età potrebbe aiutarli ad avere una visuale diversa che gli permette di conseguenza di affrontare in modo diverso il verificarsi di queste situazioni.

Riporto inoltre una delle domande più comuni che si pone il genitore, soprattutto nel caso in cui il proprio figlio venga morso più volte: “Può, mio figlio, rimanere traumatizzato da questa vicenda?”

Essere morsi, non è sicuramente un’esperienza piacevole, però i piccoli a differenza di noi adulti vivono nel qui ed ora: nel momento esatto in cui è avvenuto il morso il bambino prova dolore, ma appena questo fastidio passa, si torna alla normalità, o addirittura si torna a giocare con il medesimo compagno senza alcun tipo di rancore.


Un altro aspetto che emerge spesso dalle figure genitoriali, soprattutto quando il proprio bimbo viene morso più volte, è quello di vederlo come “debole”, ma è importante ancora una volta, cambiare il proprio punto di vista. Insieme alle educatrici sicuramente i genitori possono intervenire dando degli strumenti per comprendere l’evento, quindi attraverso la verbalizzazione dell’accaduto e cercando insieme di capire le emozioni che ha provato; con lo scopo di aiutare il bambino ad avere anche altri strumenti per affrontare questo momento.

E i genitori dei bambini che mordono? Ancora una volta il lavoro è in sinergia tra genitori ed educatori, andando ad intervenire con degli strumenti efficaci, come la verbalizzazione. Insieme possono aiutare i propri bambini fornendo loro strumenti per aiutarli a capire e dare un nome a ciò che vivono e stanno provando, aiutandoli a sostituire al corpo le parole. I bambini che mordono non sono figli di genitori inadeguati e non saranno dei futuri delinquenti, né bulli. È utile specificare le strategie educative da tenere in queste situazioni e trovare le migliori modalità di comunicazione con le famiglie.

È fondamentale far comprendere alle famiglie la normalità di questi episodi, seppure spiacevoli: informiamo i genitori in merito alle tappe evolutive dei bambini/e e dedichiamo del tempo e delle formazioni ad hoc per spiegare come funzionano i comportamenti aggressivi nello 03.

La collaborazione nido-famiglia, quindi, è sempre molto importante: come può agire il genitore a casa per aiutare il proprio figlio ad esprimersi senza utilizzare morsi/graffi (lavorando in sinergia con le educatrici)

Ci sono una serie di step da tenere in considerazione. 

  • Quando si verifica il morso/graffio, ricordiamo che è un modo per entrare in relazione; i bambini vogliono trasmettere un messaggio. Non è violenza e non vi è intento di fare male.
  • Analizziamo il comportamento attraverso nuove chiavi di lettura: cosa sta cercando di comunicarci? Cosa ci vuole dire? E cerchiamo la risposta.
  • Traduciamo il comportamento: Volevi chiedere al tuo amico di giocare con te? Guarda, non voleva farti male, voleva chiederti di giocare con lui ma non sapeva come fare e quindi gli è scappato un morso/graffio. Sai la prossima volta potresti usare le parole, magari prova a dire giochiamo insieme/vuoi giocare con me?
  • intervenire senza punire (no time out): non lo sta facendo apposta, non dobbiamo intervenire con l’intento di far provare al bambino vergogna o un senso di inadeguatezza, perché è semplicemente l’unico strumento che lui adesso ha disposizione e ha bisogno di noi per capire quali sono le modalità alternative. Il bambino in quel momento non sa gestire questa emozione enorme che sta provando e ha bisogno del nostro supporto per acquisire metodi alternativi di comunicare. Nel momento in cui morde, il bambino proprio non può fare diversamente e la punizione non aiuta, perché non lo fa sentire supportato e compreso, ma giudicato.
  • Favorire momenti di time in

Hai qualche consiglio per gli educatori? E per i genitori?

Un’accortezza che si può avere è valutare il ruolo della neurocezione in questi episodi.

Ma cos’è la Neurocezione?

La neurocezione, è una sorta di radar che va ad analizzare l’ambiente, le cose, le persone che si trovano vicino a noi. In seguito a questa analisi vi è la percezione o meno del “senso di pericolo-sicurezza”, il quale fa scattare o meno “l’allarme” nel bambino/a.

Questo senso di minaccia può provenire dall’ambiente esterno ma anche dal mondo interiore del bambino e della bambina. Per esempio, se è sotto stress o triste perché ha nostalgia dei genitori, questa emozione potrebbe essere neurocepita dal sistema come minaccia.

Quindi per alcuni bambini ci sono degli aspetti e degli stimoli che fanno scattare il loro allarme, che li mettono in modalità di protezione, a cui essi possono rispondere con comportamenti aggressivi.

Nel momento in cui mettono in atto questi comportamenti, vuol dire che nell’ambiente ci sono delle persone, delle cose, degli stimoli, che hanno attivato questo stato di allerta, si trovano in una sorta di stato rosso. Questi allarmi scattano per aspetti totalmente diversi in ogni bambino in base alla sua sensibilità; quindi, è molto importante osservare i nostri bambini, sia come educatrici, sia come genitori per avere come obiettivo quello della prevenzione. Cosa lo fa scattare? a cosa è più sensibile?

Come adulti cosa possiamo chiederci?

Cosa fa scattare l’allarme di Matteo, (nome di fantasia) Cosa fa scattare l’allarme di Anna? Cosa possiamo fare per loro? Possiamo cambiare qualche cosa rispetto all’ambiente? Possiamo strutturarlo in modo diverso? Come possiamo intervenire per farlo sentire di nuovo al sicuro?

Ritengo utile ricordare ai genitori che queste manifestazioni non sono assolutamente collegate con azioni violente e nemmeno con forme precoci di bullismo, soprattutto quando si verificano in questa fascia d’età, nello 0-3, ma neanche nello 0-6, perché non c’è intento aggressivo e/o di violenza.

E’ opportuno inoltre ricordarsi che il morso non è un episodio traumatico in sé, che è utile rimanere con i piedi per terra e piuttosto aiutare il bambino a elaborare i vissuti, le emozioni collegate a questo episodio e sfruttare anche questi eventi come opportunità di crescita, per aiutare il proprio bimbo ad attrezzarsi a fronteggiare anche le difficoltà e gli ostacoli della vita e quindi presentarsi come figura di supporto e di accompagnamento.

In conclusione non esistono quindi morsi e graffi “senza senso”.

Esatto! I morsi, i graffi, le spinte hanno sempre un senso!
In quel momento il bambino si trova in uno stato di allerta, ci sta comunicando qualcosa, dobbiamo chiederci di che cosa ha bisogno, cosa sta cercando di dirci e quale messaggio ci sta trasmettendo.

Dobbiamo essere noi, sia come genitori che come educatori, degli attenti osservatori. Osservando riusciamo a rintracciare le cause di tali comportamenti, le quali possono provenire sia dall’ambiente esterno, ma anche della propria percezione sensoriale interna.

Ci dobbiamo chiedere….Quali sono le variabili esterne che possono “far scattare questo allarme”? odori, profumi, suoni, colori, rumori forti… oppure aspetti a livello architettonico e strutturale dell’ambiente in cui il bambino si trova in quel momento. Ricordiamoci che i fattori che fanno scattare l’allarme di M., non sono gli stessi che fanno scattare l’allarme di A.

E’ utile anche valutare e osservare alcune caratteristiche dei bambini “vittima” dei morsi o dei graffi: cosa può far scattare l’allerta? Un timbro di voce, una postura, una prossemica, una gestualità particolare, anche dei lineamenti particolari, un odore… ci sono tante variabili da tenere in considerazione soprattutto quando ci sono dei bambini che morsicano solo determinati altri bambini.

Invito quindi tutti a riflettere e ad avere un’osservazione accurata quando si manifestano questi episodi, tenendo in considerazione anche queste variabili derivanti dalle neuroscienze.

“In ogni avversità che si presenta nella vita dei nostri figli l’unica cosa fondamentale di cui hanno bisogno da parte nostra è l’amore incondizionato. Un amore da dimostrare sia quando tutto è tranquillo, allegro e felice, sia quando tutto è caos, incubo e conflitti”. T. Garcia, Educare senza gridare